BUG – L’intervista di VivaMag
BUG é progetto musicale nato dalle idee di Jacopo Rossi (chitarra) e Patrick Pilastro (batteria) alla fine del 2014. Dopo un periodo di composizione incontrano Andrea Boccarusso (arrangiamento, chitarra e voce) e successivamente Giorgio Delodovici (voce), che andranno a completare la formazione del gruppo (alla quale infine, prenderá parte Mattia Gadda, al basso, nell’autunno 2016). Unendo le diverse esperienze musicali (che spaziano dal blues al funk, passando dal grunge ed il progressive, sino ad alcuni elementi metal) la sonorità inedita dei BUG viene concretizzata e presentata con il primo EP, O’Brien Shape, registrato presso La Sauna recording studio e Ghost recording studio, tra l’autunno 2015 e la primavera 2016.
Ciao ragazzi,
Siete insieme dal 2014 e il vostro primo disco è uscito nel 2016, come descrivereste il vostro stile musicale e il vostro genere?
Jacopo: Abbiamo iniziato io e Patrick, venivamo tutti da generi diversi e facevamo tutti cose diverse, siamo riusciti a trovare un terreno comune iniziando a suonare insieme. Io venivo dal funk blues, Patrick suonava progressive, abbiamo cominciato a provare insieme e ci siamo distaccati dal genere più classico, poi abbiamo conosciuto Boma in studio di registrazione e anche a lui piaceva questo genere, così si è unito a noi mettendoci la sua chitarra e la sua seconda voce (perché fa anche la seconda voce). Per ultimo è arrivato Giorgio che c’ha messo la voce e la faccia, diventando il frontman e il cantante principale.
Studiate tutti musica?
Jacopo: Boma è insegnante di musica, Giorgio suona anche il violoncello, io canto e studio chitarra mentre Patrick studiava batteria ma ha smesso.
Da dove viene l’idea del vostro nome “Bug”?
Giorgio: Quando si cerca un nome si punta sempre a qualcosa di efficace, senza scrivere perifrasi intere. Di conseguenza abbiamo cercato subito qualcosa che fosse breve ma che rendesse l’idea. Il concetto è quello che può sembrare un errore il fatto che sia un tipo di musica che ha un sound creato da una mescolanza di altri generi (vicino al rock e al grunge ma che si rifà ad una struttura prog), ma in realtà ha un senso.
Quali sono le vostre influenze? Sia per quanto riguarda la composizione che l’attitudine sul palco.
Boma: parlando di influenze per la composizione, perché di live ancora non ce ne sono stati, secondo me c’è un motore principale che sono le idee che mettono insieme Jacopo e Patrick, e sono l’impronta stilistica principale della band, che è vero che è una commistione di tante sonorità diverse, però ha qualcosa di abbastanza autentico. Io subentro poi da arrangiatore, la struttura del pezzo però è già fatta, quindi mi limito ad aumentare la gamma di suoni e infine Giorgio dà un’impronta ancora diversa. Difficilmente trovi qualcosa che abbia delle chitarre alla Police e un cantato all’Alice in Chains, quindi le influenze sono tantissime ma poi nella loro summa creano qualcosa di particolare.
Chi è tra voi che scrive i testi? Da cosa viene la vostra ispirazione?
Giorgio: io scrivo i testi, sostanzialmente i pezzi che abbiamo finora, sono un tentativo di concept, che sia riuscito o meno lascio alla critica decidere, è di per sé un percorso abbastanza esistenzialista che ricalca delle tematiche abbastanza pesanti. Prendono piede da alcuni riferimenti esterni, in particolare letterari. Ad esempio il primo pezzo ha una citazione di Nietzsche, dal “Così parlò Zarathustra”, il secondo invece di Stephen King da “Misery non deve morire”. Le citazioni sono molteplici, il titolo del disco stesso in realtà, prende forma dal personaggio di O’Brien, citazione di Orwell di “1984”. La tematica centrale di tutti i testi è il rapporto io-altri, il tentativo di legame nel senso più universale. In particolare con l’ultimo brano si evincono i temi principali che affronta chiunque: il rapporto con la divinità, il rapporto amoroso e quello di legame affettivo tra le persone. Per la realizzazione non sto ore a cercare fisso, sono dell’idea che debba venire di ispirazione. Non sono della frangia che lascia che il testo venga come se fosse uno “stream of consciousness” che abbia senso o no va bene, anzi a dir la verità disprezzo quel tipo di forma e il fatto che il testo non abbia senso. Do molta importanza al testo, sono cose che magari ho tenuto per anni da parte che non ho mai usato e poi ho deciso finalmente di impiegare.
Citatemi un album a testa che ritenete fondamentale per la vostra formazione musicale.
Jacopo: Blood Sugar Sex Magik dei Red Hot Chili Peppers
Patrick: Anesthetize dei Porcupine Tree, anche perchè gran parte del modo in cui suono la batteria l’ho preso da quel gruppo.
Giorgio: Des Visage des Figures dei Noir Désir.
Boma: Brothers in Arms dei Dire Straits.
Perchè la scelta di cantare in inglese?
Giorgio: all’inizio avevo anche l’idea del francese come tributo ai Noir Dèsir, per quanto riguarda la nostra lingua pensare di essere un paroliere in italiano è difficile e per di più l’italiano richiama di più una tradizione da cantautorato. Il gruppo a cui faccio molto riferimento sono il Teatro degli Orrori, ma i miei temi si distaccano completamente da quelle di Capovilla, sono lontano da una tematica profondamente politica o sociale, le preferisco molto più personali. L’inglese agevola molto secondo me il compito, più che altro è più facile da adattare ad una voce, è stata una soluzione per migliorare la funzionalità dei pezzi.
Boma: in generale bisognerebbe anche interrogarsi sulla resa che ha l’italiano su questo tipo di voce.
Patrick: in realtà stiamo ancora sperimentando senza porci limiti.
Quali sono stati i concerti a cui avete assistito che vi hanno influenzato maggiormente?
Jacopo: uno di quelli che mi ha impressionato di più è stato quello dei Rolling Stones però a livello musicale David Gilmour forse di più.
Patrick: il concerto che mi ha impressionato di più è stato quello di Steven Wilson, con la sua band in un teatro,è stato qualcosa di incredibile.
Giorgio: io come concerti sullo stile rock direi David Gilmour, a livello musicale e personale dire Enrico Bronzi, quando è venuto qua a Varese nel salone Estense.
Boma: rispondo a colpo sicuro: Rammstein al Gods of Metal di quest’anno. Sì, hanno tentato di darmi fuoco quattro volte, ma anche quella è la bellezza del concerto.
La copertina trasmette un messaggio particolare? Perchè avete scelto questa immagine?
Jacopo: la copertina viene da una foto che ho fatto quando stavo preparando la tesi all’interno del Grand Hotel del Campo dei fiori, qua a Varese. La foto conteneva già tutti gli elementi che si vedono, tranne la sfera, aggiunta a posteriori. Richiama, la forma della finestra e inoltre al suo interno c’è un finto riflesso, finto perché dovrebbe vedersi il riflesso dell’altra parte di stanza, in realtà si vede ancora la finestra e lì sta un po’ il gioco dell’errore che richiama anche il nome del gruppo.
Come vedete il panorama musicale a Varese?
Giorgio: io dico la mia, a livello di musicisti Varese è ricca, ci sono elementi validi per fare musica, c’è un panorama che è variegato all’inverosimile e si può cercare veramente di tutto. Il problema rimane sempre il solito: finché i locali sono monopolizzati da gestori che vogliono tirare secondo la moda del momento o comunque pretendono di continuare con la solita logica del “quanta gente mi porti” non funzionerà mai. Io ho suonato per dieci/undici anni nel panorama metal underground e prima non era così, c’era più di complicità tra le band, molto più scambio di date, molti più locali disposti a far suonare. Siamo arrivati a un punto in cui non dovevamo più cercare le date, che erano i posti a chiamarci.
Jacopo: è veramente scoraggiante perchè uno spende un mucchio di soldi per fare tutto, si fa un “culo” così perchè magari studia musica, oltre che studiare per l’università, fa le prove e poi non ti torna indietro niente. Nessuno si aspetta di arrivare chissà dove, però almeno di non dover mettersi in ginocchio per suonare in un locale, sì.
Quali sono i vostri programmi per il futuro?
Boma: adesso stiamo lottando per fare una data.
Jacopo: comunque manteniamo l’idea della sperimentazione, se uno arriva con un’idea nuova non completamente in antitesi, teniamo aperte le possibilità, magari anche con la musica elettronica. Vogliamo registrarne un altro ovviamente, però questo si vedrà più avanti.
Giorgio: Per il resto sono in cantiere nuovi pezzi, abbiamo trovato adesso un bassista che è quello dei Radio Aut e ha deciso di collaborare con noi e vediamo che piega prenderà. Parlare così in là forse ce la tireremmo da soli ma l’idea è quella, stiamo continuando a scrivere pezzi e stiamo lavorando, noi continueremo a proporre idee e vedremo come si evolve il suono, vedremo cosa ci riserba il futuro, magari canteremo in italiano, magari passeremo a fare hip hop.
Patrick: l’idea comunque è sempre quella di continuare.
Sara Ferraro