Carol Ann Duffy – Poesia
Dame Carol Ann Duffy (1955) è la prima donna scozzese ad essere stata investita, nel 2009, della carica di Poeta Laureato del Regno Unito. Poetessa, drammaturga e insegnante di scrittura creativa presso la Manchester Metropolitan University, nella sua poesia affronta temi come l’oppressione, l’orientamento sessuale, la violenza, il dolore, la perdita e l’amore. I soggetti rappresentati sono emarginati sociali e figure ordinarie: disoccupati, immigrati, malati mentali, criminali, prostitute, serve e casalinghe conquistano l’attenzione del lettore grazie alla semplicità di linguaggio e di forma con la quale vengono messi in scena. Non per nulla, la Duffy è considerata la voce più rappresentativa della poesia contemporanea nel suo Paese.
Ti voglio e non sei qui. Mi soffermo/ in questo giardino, a respirare il colore che è il pensiero/ prima di diventare linguaggio nell’aria ferma. Pure il tuo nome/ è un pallido spettro e, per quanto lo esali senza/ posa, non mi rimarrà accanto. Stanotte/ ti invento, ti immagino, i tuoi movimenti più nitidi/ delle parole che ti faccio dire e che hai già detto./ Ovunque tu sia ora, nella mia testa mi fissi/ con uno sguardo, standotene qui mentre la luce fresca della sera/ si dissolve nella terra. Sbaglio la tua bocca/ ma sorride lo stesso. Ti stringo a me più vicino, così lontano,/ a inventare l’amore finché il canto di uccelli notturni/ interrompe e muta quel che doveva succedere, di sicuro,/ in ricordo. Le stelle ci stanno filmando senza scopo.
Accanto alla mia pelle, le sue perle. La mia padrona/ mi dice di portarle, di scaldarle sino a sera/ quando le spazzolerò i capelli. Alle sei le metto/ intorno alla sua gola fresca, bianca. Per tutta la giornata/ penso a lei/ che riposa nella Stanza Gialla, che contempla la seta/ o il taffetà, che indosserà stasera? Si sventola/ mentre lavoro di buon grado, mentre il mio calore entra/ lentamente/ in ogni perla. Lento, sul mio collo, il suo laccio./ Lei è bella. Io la sogno/ nel mio letto in soffitta; me la figuro che balla/ con uomini alti, confusi dal mio vago odore diffuso/ sotto al suo profumo francese, alle sue pietre di latte./ Le inciprio le spalle con uno zampino di lapin,/ osservo il morbido rossore filtrarle attraverso la pelle/ come un sospiro indolente. Nel suo specchio/ le mie labbra rosse si separano come se volessi parlare./ Luna piena. La sua carrozza la porta a casa. Vedo/ ogni sua mossa nella testa… Mentre si sveste,/ si toglie i gioielli, la sua mano sottile raggiunge/ l’astuccio, nuda scivola a letto, così/ come fa sempre… E io resto qui sveglia,/ sapendo che le sue perle si stanno raffreddando anche ora/ nella stanza dove la mia signora dorme. Per tutta la notte/ sento la loro assenza e ardo.
A San Valentino
Non una rosa rossa o un cuore di raso.
Ti do una cipolla.
È una luna avvolta in ruvida carta scura.
Promette luce
come il lento spogliarsi dell’amore.
Eccola.
Ti accecherà di lacrime
come un amante.
Renderà il tuo riflesso
un traballante ritratto di dolore.
Sto cercando di essere onesta.
Non un biglietto lezioso o baci per interposta persona.
Ti do una cipolla.
Il suo bacio pungente resterà sulle tue labbra,
possessivo e fedele
come noi,
finché lo saremo noi.
Prendila.
I suoi cerchi di platino si riducono a un anello nuziale,
se vuoi.
Letale.
Il suo odore si appiccicherà alle tue dita,
al tuo coltello.