Cento poesie d’amore a Ladyhawke
La fiaba degli amanti
cui un maleficio tolse
d’incontrarsi
(donna di notte lei
e con la luce falco
lui con la luce uomo
e nottetempo lupo)
ci piacque tanto che per un bel pezzo
ci siamo firmati Knightwolf e Ladyhawke
finché capimmo
l’inutilità della speranza di ritrovarci insieme
nell’umano
il nostro più ambizioso traguardo
essendo di confondere
il pelo con le piume
Possono due persone destinate a non incontrarsi mai essere innamorate? In Cento poesie d’amore a Ladyhawke, Michele Mari dà libero sfogo alla sua ossessione privata, una relazione impossibile ma piena di affetto. I due amanti non si incontrano per oltre trent’anni (Non ti ho mai visto i piedi/non ti ho mai vista in camicia da notte/ non ti ho mai visto lavarti i denti/ e dopo più di trent’anni/ non ho ancora capito/ se questo è un bene/ o un male), ma il sentimento non scema e il bisogno dell’altra si fa sempre più prepotente: Ti cercherò sempre/ sperando di non trovarti mai/ mi hai detto all’ultimo congedo/ Non ti cercherò mai/ sperando sempre di trovarti/ ti ho risposto/ Al momento l’arguzia speculare/ fu sublime/ ma ogni giorno che passa/ si rinsalda in me/ un unico commento/ e il commento dice/ due imbecilli.
Un rapporto distaccato dalla realtà, dunque, in cui si incontrano inquietudine, nostalgia, irragionevolezza ed incertezza. L’idealizzazione e il desiderio prendono il posto dell’esperienza e della corporeità (Arrivati a questo punto/ dicesti/ o si va oltre/ o non ci si vede mai più/ Non capivi che il bello era proprio quel punto/ era rimanere/ nel limbo delle cose sospese), forse anche un po’ per paura del confronto con la verità. Il questo modo, però, l’amore si trasforma in un sentimento eterno, che va oltre i limiti della vita terrena: Tu non ricordi/ ma in un tempo/ così lontano che non sembra stato/ ci siamo dondolati/ su un’altalena sola/ Che non finisse mai quel dondolio/ fu l’unica preghiera in senso stretto/ che in tutta la mia vita/ io abbia levato al cielo.