Dequincey – L’intervista di VivaMag

Sotto il moniker di Dequincey si cela Marco Tommaseo, chitarrista e cantante originario di Saronno (VA), che da qualche anno vive a Bristol, nel Regno Unito. Il 25 ottobre ha pubblicato il suo nuovo album “…And so the gates unlocked” di cui trovate la nostra recensione nel numero di novembre (e ovviamente anche qui). Abbiamo colto l’occasione per fare quattro chiacchiere con lui, per scoprire di più sul suo nuovo lavoro, sulla musica che lo ha ispirato e sulla scena inglese nel quale è immerso.

Ciao Marco! Presentati ai lettori di Viva Mag.
Sono un musicista e produttore residente Bristol, fondatore di due progetti musicali attualmente in attività nel Regno Unito.

Raccontaci la genesi del tuo nuovo album “…And so the gates unlocked”.
L’idea è maturata durante il 2017, un anno personalmente molto turbolento e instabile nel quale ho trovato molta ispirazione, e durante il quale letteralmente sentivo nuovi suoni girarmi nella testa. Nell’ottobre di quell’anno ho dunque preso una pausa da Bristol e mi sono rinchiuso in studio a Torino. In poco meno di un mese ho così scritto e pre-prodotto “…And So The Gates Unlocked”.

Cosa si cela dietro al moniker ‘Dequincey’?
Il nome viene dallo scrittore inglese Thomas De Quincey, maggiormente famoso per la sua opera autobiografica “Confessions of an English oppium eater. De Quincey viene raccontato da Baudelaire in “Paradisi Artificiali” come esponente estetico del decadentista inglese e primo scrittore a dichiararsi pubblicamente dipendente dall’oppio.

Nella tua musica è facile sentire richiami alla scena dream pop e shoegaze. Quali sono gli artisti che più ti hanno ispirato?
Il disco che più mi ha ispirato durante quel periodo è “Wondrous Bughouse” di Youth Lagoon. Più in generale posso citare Flaming Lips, My Bloody Valentine, Temples, Spaceman 3, Death and Vanilla, Broadcast ma anche molta influenza dalla psichedelia di fine anni 60 e il punk.

“…And so the gates unlocked” è stato autoprodotto. È una scelta che hai preso sin dall’inizio? Parlaci delle difficoltà incontrate.
Non so quanto sia stata una scelta. E’ stata più che altro una necessità e forse il solo modo per poterlo realizzare. Le difficoltà sono state soprattutto economiche, che inevitabilmente hanno allungato drammaticamente i tempi di produzione .

Per la riuscita di “…And so the gates unlocked” hai lavorato con numerose figure professionali tra cui il sound designer Massimo Battisiol e il fonico David Glover…
La fase di scrittura nella casa studio di Massimo è stata la più eccitante e creativa; è dove è avvenuta la vera magia e dove ho finalmente potuto liberare la mia creatività repressa. Con Massimo c’è stato un ottimo scambio di opinioni sugli arrangiamenti, anche se il lavoro di scrittura è stato completamente autonomo. Inoltre mi è stato molto di aiuto averlo al mio fianco per l’aspetto del sound design dei synths, e in generale è stata un’esperienza unica che mai dimenticherò. Il lavoro con David Glover ai Tesla Studios di Sheffield ha avuto come maggior beneficio quello di creare il suono di batteria ideale. Edward Evans ha suonato grandiosamente le parti di batteria e David ha esattamente capito cosa volevo a livello sonoro e lo ha realizzato. Vorrei inoltre ricordare Dominic Mitchison, il fonico e produttore con il quale ho missato l’intero album al Malthouse studio di Bristol, e con il quale ho un ormai collaudato sodalizio.

La copertina di “…And so the gates unlocked” ad opera della talentuosa Marta Isabella Reina, presenta una grande quantità di elementi. Cosa simboleggiano?
L’opera di Marta rappresenta, nella sua complessità e dimensione onirica, il mondo visionario e introspettivo raccontato nell’album. L’elemento centrale è il sentiero, ovvero il percorso, il viaggio fisico e spirituale che viene narrato nel disco. Molti altri elementi dell’opera sono quelli che ritroviamo all’interno di questo viaggio e nelle canzoni stesse: i fiori, il tarocco, la morte, i pianeti, gli uccelli, la fontana, il mare…

Da musicista expat, come vedi la situazione musicale italiana? E quella inglese?
Devo ammettere di non essere molto aggiornato sulla musica Italiana, però posso dire di vedere artisti italiani passare da qui e noto grande qualità e anche apprezzamento da parte del pubblico inglese. Sicuramente in Italia vantiamo una bella scena musicale underground che merita di essere più esplorata. In Inghilterra c’è molta bella musica ma il problema per i musicisti emergenti rimane il fatto che troppi locali spesso non pagano gli artisti. Per quanto riguarda Bristol, la percezione è quella di essere all’interno di un microcosmo a sé. Qui tutto è concentrato in una realtà relativamente piccola, dove la scena musicale è sempre molto ricca e dinamica, grazie anche al passaggio di molti artisti internazionali.

Ultima domanda, o per meglio dire richiesta: consiglia cinque dischi usciti negli ultimi cinque anni ai lettori di VivaMag.
Certo, questa è la mia personale “top 5”:
Brain Telephone – Frankie And The Witch Fingers
When – Maria False
Comfortably Swell – Penelope Isles
Slowdive – Slowdive
Volcano – Temples

2 pensieri riguardo “Dequincey – L’intervista di VivaMag

  • 12 Novembre 2019 in 13:17
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    Bella intervista ,bravo l’operatore dell’intervista. Complimenti all’artista Marco Tommaseo

    Rispondi
  • 12 Novembre 2019 in 17:38
    Permalink

    Il miglior disco dalle forti sonorità anglosassoni realizzato da un cantante/musicista/produttore italiano

    Rispondi

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