Eddie Vedder – Tour Italiano 2019 – Live Report
Da un paio d’anni a questa parte, ho sviluppato la buona e salubre abitudine, di seguire Eddie Vedder e i Pearl Jam, per gran parte dei loro tour italiani. Un’abitudine che fa bene al cuore, agli occhi, alle orecchie e un po’ meno bene al portafogli, ma alla fin dei conti, who cares?
Tuttavia, non mi sono mai ritrovato a dover scrivere di uno degli artisti che maggiormente ha influenzato la mia visione della musica, vuoi per mancanza di valide occasioni, vuoi per l’ancestrale rispetto che ho nei suoi confronti. Nonostante questo, è giunto il momento di togliersi il cappello del fan e mettere ordine fra gli appunti che ho preso sulla nuca dei miei vicini di concerto.
Due date, due location diverse e un bagaglio emotivo differente, di concerto in concerto. Eddie Vedder, ha una capacità innata di rendere unica ogni sua esibizione, per quanto possano essere simili le scalette o gli intenti. Un talento, che è rimasto da solo, a combattere contro la modernità di un panorama musicale asettico ed alcuni fantasmi, che inevitabilmente fanno capolino.
Quello che si è presentato a noi, è un Vedder leggermente diverso dal solito, con una vaga malinconia di fondo e il peso di un’età che inizia a farsi sentire. Durante la serata di Barolo, emblematica, è stata infatti una sua riflessione poco prima di Song of Hope, in cui rimarcava il fatto, che sta andando a più funerali che matrimoni ultimamente, mentre a Firenze, il pensiero era rivolto alla sua famiglia, questa volta assente.
Con il nostro paese, la voce dei Pearl Jam, sembra avere un piccolo debito d’onore che cerca di colmare ad ogni esibizione, tradendo a Firenze un visibile ed inconsueto nervosismo, che ha minato la resa dei primi brani in scaletta. La sensazione di solitudine che ha accompagnato sul palco Vedder, è stata ben presto mitigata da un pubblico al limite dell’estatico, che lo ha accolto e amato, come un vecchio amico che vediamo meno di quanto vorremmo. Nonostante l’atmosfera creata dal quartetto d’archi in dotazione, le performance di questo tour, non sono riuscite a raggiungere i picchi di quell’intimo misticismo, che trasudavano le notti di due anni fa a Taormina e sempre Firenze Rocks. Complici evidenti ed ingrati problemi tecnici nella data fiorentina e un tasso alcolico decisamente fuori norma nelle Langhe, un Vedder provato anche dalla febbre, ha lasciato per strada più di una sbavatura, soprattutto dal punto di vista chitarristico. Eppure, il musicista originario di Evanston, non si lascia impressionare dalle dita che inciampano e ad ogni errore, corrisponde una reazione uguale e contraria. Non importa se qualche accordo di Porch è traditore e ancora meno ci scalfisce l’interruzione di una Should I Stay, Should I go? In salsa elettro-ukulele, tutto questo scompare nel momento in cui il vero Vedder prorompe e ringhiando tutta la sua rabbia, ammutolisce alcuni risolini.
Al netto di questi dettagli, le due date italiane in combo con l’immancabile Glen Hansard, hanno regalato momenti di rara e sublime luminosità, sia a Firenze che a Barolo. Dal doloroso omaggio a Tom Petty (Wildflowers e Won’t back down), all’immagnifica Black, da Isn’t a Pity (cover di George Harrison), all’oscura e dissonante Can’t Keep condita con archi, Vedder ci descrive tutte le incrinature della sua anima da sopravvissuto. Gli episodi migliori, su entrambi i fronti, restano quelli in coppia con Hansard, ottimo apripista di entrambe le date e anima speculare di Eddie. Assieme, intonano a Firenze forse la miglior Society a memoria d’uomo, straziante e mesta, mentre Barolo, si scioglie per il calore di una Fallin’ Slowly che non ci stancheremo mai di ascoltare.
Sebbene per molti, non si sia definitivamente ripreso dalla morte di Cornell, l’urgenza di Vedder di condividere la consapevolezza, la gratitudine e la serenità di essere ancora qui, non può passare inosservata. A fine serata, la malinconia, lascia il posto ad un sorriso, tanto disarmante quanto immenso. Citando quello che lui considera un suo amico da più di dieci anni, anche se non si sono mai conosciuti, “Happiness is only real when shared” e il buon Eddie, vuole semplicemente condividerla con la sua famiglia, con i suoi amici più cari e perché no, anche con noi.