I t(h)ruller di Donato Carrisi

L’uomo del labirinto (Longanesi, 2017) è il primo e (finora) l’unico libro di Donato Carrisi a cui io mi sia approcciata e, a detta di alcuni fidati amici lettori, non è tra i suoi migliori. Eppure a me è piaciuto molto, perché ho trovato la scrittura di Carrisi molto avvincente e vorticosamente coinvolgente, fino a raggiungere il limite della paura. L’unica perplessità che mi rimane riguarda l’ambientazione del romanzo, in una città e in un momento storico indefiniti (per me la Florida e le Everglades dei giorni nostri).

Samantha Andretti è stata rapita quando aveva solo tredici anni e riesce miracolosamente a fuggire (ma è davvero una fuga o è stata lasciata andare?) dal suo psicopatico rapitore (l’“uomo del labirinto”, appunto) solo dopo quindici interminabili anni costellati di abusi, soprusi, violenze psicologiche. Samantha è ora una giovane donna traumatizzata e sotto shock che, aiutata dal dottor Green, sta cercando di ricordare il più possibile di quanto accadutole durante la prigionia: ogni suo ricordo può essere un indizio utile alla polizia (gli agenti Bauer e Delacroix) nonché all’agente privato Genko che, a modo suo, sta cercando di rimediare a un fallimento di quindici anni prima. Ma sono ricordi che lasciano spiazzati e interdetti, rendendo quasi impossibile la caccia all’“uomo”, perché… “Non esiste azione umana che non lasci tracce. Specie se si tratta di un atto criminale”.

Da questo romanzo di uno tra i più affermati e, anche all’estero, apprezzati scrittori italiani di thriller (tre milioni di lettori), nel 2019 è stato tratto un film, di cui lo stesso Carrisi è regista, con Toni Servillo, Dustin Hoffman e Vinicio Marchioni.

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