Il teatro come paesaggio
La contemplazione della natura discende da una speciale capacità dello sguardo che permette il salto verso la conoscenza e la contemplazione. Non tutte le forme naturali costituiscono sempre e comunque elementi dell’insieme paesaggio. Riconoscere nella natura un “bel quadro” impone di considerarlo quale “scena” sul quale si dispone l’avventura dell’umanità. Il valore drammatico del paesaggio era presente nel primo atlante della geografia moderna intitolato significativamente “Theatrum Orbis Terrarum” (Ortelius, 1570).
Il paesaggio come teatro, quindi, assume nel pensiero occidentale un valore conoscitivo che ancora oggi appare attuale. L’atto fondante di questa speculazione è avvenuto in Grecia prima ancora della composizione forte del pensiero filosofico post-socratico. L’evento generatore è stato il sorgere del teatro, quale momento collettivo di osservazione.
Se il paesaggio come teatro è usuale metafora della disciplina geografica, è lecito domandarsi in che misura la scena teatrale abbia contribuito a costruire uno sguardo capace di leggere la città.
Innanzitutto, notiamo che nell’antico teatro attico, il termine theatron non descriveva un luogo, bensì una collettività di spettatori, di osservatori. Lo spazio scenico era un luogo del mondo che, grazie all’azione degli attori e allo sguardo degli spettatori, si faceva scena e, dunque, paesaggio.
L’area che si stendeva ai piedi della collina teatrale diveniva spazio drammatico. Gli autori utilizzavano il territorio e le sue condizioni ambientali per costruire la scena. Le rappresentazioni si svolgevano prima dell’alba e la sapienza drammaturgica dei tragediografi classici portava gli attori ad interagire con l’ambiente. “L’Aurora leva ormai il suo candido volto: allontaniamoci da questo sentiero battuto” dice Oreste nell’Elettra di Euripide.
Poi l’introduzione della skené pose le condizioni per la vera e propria rappresentazione scenografica. Con essa la città fece irruzione nell’immaginario drammaturgico. Invece che nell’aperta campagna, l’azione scenica iniziò ad essere ambientata nelle prossimità di un tempio o di un palazzo.
Il teatro romano accolse nella scena un insieme di elementi propriamente architettonici, quali fregi, colonne, archi in pietra. Lo sguardo dello spettatore era condotto a riconoscere, sullo sfondo della rappresentazione, le forme della buona arte architettonica di Vitruvio.
Nel medioevo i drammi liturgici erano occasione per la sensibilità simbolica di sovrapporre alle forme della città i segni di una complessa geografia allegorica.
Nel Rinascimento la riscoperta della classicità portò ad una riproposta della scena teatrale classica. Il prototipo è il Teatro Olimpico di Vicenza progettato da Palladio che, con le sue cinque fughe prospettiche sormontate da cinque archi scenici, era in grado di restituire allo spettatore lo sguardo sulle forme consuete delle città con il suo susseguirsi di vedute, scorci e prospettive.
Dalla sensibilità rinascimentale si passò, dunque, all’immaginifica attitudine barocca con il suo gusto per la rappresentazione mirabolante.
Il teatro del secolo XVIII propose allo sguardo degli spettatori le immaginarie architetture dei Bibiena e di G.B. Piranesi caratterizzate da un’attitudine vedutistica, assai consona alla pittura di paesaggio allora in voga. Inoltre furono introdotte le atmosfere esotiche che avrebbero familiarizzato gli spettatori coi paesaggi lontani e fantasiosi.
Inoltre il gusto preromantico di tardo Settecento introdusse la rappresentazione della natura quale elemento sublime. Questa attitudine realista della raffigurazione fu preludio all’introduzione del “golfo mistico” proposto da Wagner nel suo teatro di Bayreuth (1876), dal quale sorse la scena “a scatola ottica” resa possibile dai miglioramenti tecnologici in materia di illuminotecnica e scenotecnica. Dall’intuizione della “scatola ottica” sarebbe, quindi, derivata la possibilità della rappresentazione foto e cinematografica che avrebbero radicalmente modificato la lettura e la comprensione del paesaggio e del territorio fino ai giorni d’oggi.
Insomma, prima di progettare un nuovo spazio teatrale nella città dei giardini, sarà forse meglio mettere a fuoco con più chiarezza il nostro theatron, ovvero il nostro sguardo sulla Varese del futuro.
Andrea Minidio