John Butler – L’intervista di VivaMag
Non vi nascondo che un pizzico di nervosismo, mi ha fatto gentilmente compagnia mentre preparavo questa intervista. D’altra parte John Butler non è solo uno dei miei artisti preferiti, ma anche un vero mentore a livello chitarristico. Confrontarmi con la sua personalità, è stato un viaggio illuminante e a tratti burrascoso, costellato da non poche difficoltà. L’artista australiano, nella sua versatilità musicale e filosofica, è in grado di toccare una vasta gamma di emozioni e nel rispondere ad ogni domanda, riesce a sollevare nuovi ed interessanti quesiti. Il suo nuovo Tour, toccherà l’Italia il 29 e 30 Giugno, rispettivamente a Cesena in occasione del festival Acieloaperto e a Milano, presso l’ormai storico Circolo Magnolia. Nel frattempo, lo abbiamo raggiunto per una mistica chiacchierata su songwriting, tatuaggi e ovviamente per raccontarci la nuova formazione che lo affiancherà sul palco.
Sta per iniziare la seconda parte del tour in supporto ad HOME e a fine Giugno, sbarcherai in Italia con una formazione completamente rinnovata. Ho avuto modo di sbirciare qualche video delle prove sul tuo profilo Instagram e sono veramente elettrizzato. Com’è il feeling con la nuova band? Puoi dirci qualcosa in più riguardo a chi ti accompagnerà in questa nuova avventura?
Le prove sono andate molto bene. I nuovi musicisti, sono quelli che avrei cercato di coinvolgere per primi ed erano tutti disponibili, quindi per me è stato estremamente eccitante sin dall’inizio. Terepai, il nuovo percussionista, è un vero mostro del groove dal talento straripante. Suona dal vivo da quando era bambino e ha tutte le carte in regola per far parte del Trio+.
Anche OJ, è un personaggio che ho ammirato da lontano per diverso tempo e quando è stato il momento di cercare un nuovo bassista, è stato la mia prima scelta. E’ un band leader per definizione. Suona il basso elettrico, il contrabbasso e le tastiere, devo dire che ha tutte le capacità necessarie per affrontare la sfida. E’ una persona davvero positiva ed è profondamente entusiasta di quello che stiamo facendo.
Elana, invece, la conosco da anni per essere una cantautrice di altissimo livello, negli ultimi anni ha fatto parte delle All Our Exes in Texas (folk band australiana) e la sua vocalità, il suo modo di suonare le tastiere e la fisarmonica, mi sono sembrati perfetti per ricreare tutta la varietà dei suoni extra che ho prodotto per il nuovo album e che avrei voluto nel materiale più vecchio
Nel corso degli anni, si sono alternati musicisti eccezionali nel Trio, tutti con un sound caratteristico e molto personale. Ognuno di loro, ha portato ingredienti diversi nella band e le varie fasi del trio, sono perfettamente riconoscibili anche in un blind test. Ogni nuova incarnazione del Trio, segna uno step evolutivo all’interno della tua carriera. Hai definito HOME come un rito di passaggio inevitabile, dove ti porterà questa nuova evoluzione?
Dove mi porterà? Al momento sto “fertilizzando” un po’ di nuove idee. I motivi alla base del cambiamento del Trio, sono sempre diversi. A volte sento il bisogno di un cambio di sonorità, o più semplicemente voglio soddisfare la curiosità di avere un determinato stile nelle mie canzoni. Altre, i musicisti lasciano il trio per motivi personali o per seguire i loro progetti musicali. Questa è stata la motivazione dell’ultimo cambio di formazione, ma devo dire che è stata la decisione migliore per tutti, per ragioni prettamente “universali”. Sono onorato di aver condiviso il palco e aver registrato dischi con così tanti musicisti straordinari e non vedo l’ora di sapere dove mi porteranno le prossime collaborazioni.
Mi piacerebbe davvero portare in giro per l’emisfero Nord il mio set da solista. Ne ho fatti parecchi in Oz (nomignolo che usa per l’Australia – ndr), mi sono divertito molto e danno una visione completa della mia musica e da dove arriva. Ne ho dovuti fare quattro durante l’ultimo tour, per coprire l’assenza del nostro batterista e sono stati moooooooolto belli. Mi chiedevo come un pubblico di più di 2.500 persone, pronto per il concerto di un trio, avrebbe accolto un mio show in solitaria, ma è andato tutto meravigliosamente bene. Mi piacerebbe farne di più, credo sia il tassello mancante per definire completo il quadro di me come artista.
In questo ultimo album, c’è un brano, Just Call, che ti ha perseguitato, passami il termine, per circa quindici anni prima di trovare una sua forma. Allo stesso tempo, il riff iniziale di Zebra, ci ha messo tre anni a tradursi in note. Come per tanti altri aspetti della vita, credo che anche nella musica esista un momento per tutto. Un momento in cui canzone ed autore, si trovano finalmente sulla stessa lunghezza d’onda per completarsi a vicenda, cosa ne pensi?
Potrei parlarti per ore di questo e anche scriverne, non è per niente semplice. Personalmente, credo che le canzoni vivano in un mondo veramente strano, mistico ed effimero. Sono come cavalli selvaggi, che corrono lungo vaste ed inesplorate praterie. I cantautori, invece, li considero come esperti mandriani. Noi songwriters, passiamo molto tempo lì fuori, nel The Never Never (come chiamano in Australia il loro entroterra – ndr). Abbiamo molto rispetto di questi cavalli e ne incontriamo davvero tanti nel corso delle nostre escursioni. La maggior parte della gente, non ha la fortuna di vedere le cose che vediamo noi là fuori. Il nostro compito, è portare questi cavalli dall’altro lato per mostrare alle masse la loro selvaggia e mistica natura, e raccontarci le loro verità. TUTTAVIA! Un buon mandriano, non dovrebbe mai forzare un cavallo/canzone contro la sua volontà. Forzare una meravigliosa creatura selvaggia, spezzarne lo spirito, è la cosa peggiore che puoi fare ad una canzone. In passato mi è capitato di farlo e il pezzo, non era nient’altro che l’ombra di quello che sarebbe potuto essere. Esattamente la differenza che passa fra una creatura libera, selvaggia ed una in catene.
Scovare il trucco migliore per portare da questa parte una canzone, senza rovinarne l’essenza, è un viaggio senza fine, perché ogni cavallo è diverso dall’altro. Un buon mandriano/autore, per recuperarlo in maniera naturale, impiega ogni volta una tecnica diversa. Qual è il metodo migliore per calzare la sella? E per infilare le redini? Lo arrangiamo su tastiere, chitarra o semplicemente a cappella? Beat elettronici o percussioni? Lo mixiamo con un altro pezzo? Registrato Live o prodotto in studio? Tutte opzioni diverse, non ci sono regole specifiche, questo è quello che amo del processo creativo. Come posso descrivere la selvaggia divinità di questa storia universale senza intromettermi troppo? Solo usando un numero sufficiente di “tecniche”, evitando di lasciare che il mio ego distrugga la canzone.
HOME è un brano molto personale, che parla del tuo profondo legame con la tua terra e famiglia. Tornando a Just Call, invece, l’albero che scali nel video, è lo stesso su cui ti arrampicavi da bambino, mentre in quello di Wade in The Water, fai skate con tuo figlio Jahli. Rispetto al passato, ho notato una presenza più marcata dell’elemento “radici”, a cosa è dovuto? Quanto è difficile vivere il proprio sogno lontani dalla famiglia per gran parte del tempo?
Sinceramente non ho idea del perché i video siano stati recepiti in questo modo. Di mio, volevo solo sembrare naturale e non artificioso, quindi ho scelto di rappresentare le cose che amo di più: arrampicarmi su di un albero, fare skate con mio figlio e vivere a contatto con la natura. Ho fatto sempre video abbastanza standard, questa volta volevo qualcosa di più semplice, autentico e potente.
Per quanto riguarda l’essere lontano da chi amo mentre realizzo parte del sogno della mia vita… Devo dire che è molto difficile e ad essere onesti, mi spezza il cuore. Credo faccia parte del senso dell’umorismo dell’universo. La vita è composta da una lunga serie di grandi e difficili decisioni, ed è impossibile evitarle. La mia famiglia mi segue quando può e cerchiamo di supportare i sogni l’uno dell’altro, non importa quanto possa essere complicato farlo. Questa volta, li incontrerò proprio a Milano, devo dire che per questo tour sono stato davvero fortunato.
Durante il tuo ultimo concerto a Milano, mi ha colpito il silenzio quasi liturgico del pubblico durante l’esecuzione di Ocean. Al di là della sua popolarità online, credo sia uno dei momenti di maggior connessione con i tuoi fan. Sembra quasi un rito, una sorta di preghiera, qual è il tuo rapporto con quello che è il tuo brano simbolo?
Ocean è una di quelle canzoni che ho cercato di portare in vita per oltre vent’anni. Non so come spiegarlo, a volte mi capita di provare la sensazione di aver detto tutto, allora le parole passano il testimone alla chitarra, che traduce in note sensazioni che non possono essere comunicate in altro modo. Amo il fatto che Ocean faccia parte della mia vita, è quel genere di canzone che mi spinge a mantenermi onesto. Devo essere a fuoco, per suonare questo pezzo. Non posso suonarla in maniera svogliata o se sono sballato o ubriaco. È richiesta tutta la mia attenzione per guidarla nel mondo in quei 10/15 minuti. Vivo su di me e percepisco perfettamente l’effetto che ha sul pubblico, ma dall’altra parte, non voglio decifrarlo del tutto, vivo il momento. Lascio che il cavallo resti libero, per raccontare la sua verità a me e al pubblico. Sono grato che questa canzone mi abbia scelto per aiutarla a raggiungere le masse.
Sempre parlando di Ocean, il suo arrangiamento varia di tour in tour, seppur mantenendo una sua riconoscibile struttura. La sua imprevedibilità, ricalca quella delle onde dell’oceano, mai uguali e in continua evoluzione. Questo aspetto ne influenza l’esecuzione?
Credo sia più influenzata da come mi sento in un determinato momento o in base a quanto tempo ho a disposizione. Solitamente durante i festival ne suono una versione più breve, semplicemente perché voglio avere tutto il tempo necessario per raccontare tutte le storie che voglio condividere con il pubblico.
Fra le tue passioni, mi pare evidente quella per i tatuaggi. So che ami tatuarti da solo e decorare anche amici e parenti. Che tipo di rapporto hai con il tatuaggio in sé?
Vivo la pratica dei rituali di attivazione. Sono un qualcosa che aiuta a portare tutto ad un livello liminale, in contrapposizione a quello subliminale. Uno spazio in cui è possibile trasformarsi e trasmutarsi, attraverso riti di passaggio che permetto un reset o un miglioramento. Il rituale, aiuta a creare questo spazio e amo questo aspetto dei tatuaggi. Allo stesso tempo, adoro decorare e ornare il mio guscio. Ogni guscio è unico e il mio racconta il mio viaggio, la mia storia e i tatuaggi mi aiutano a descriverli al meglio. Amo anche tatuare io stesso, con rispetto e in maniera ragionata.
Sotto molti aspetti, noi occidentali abbiamo una cultura molto strana. Divinizziamo l’economia e il dollaro, che interferiscono nel nostro rapporto con la natura e l’ignoto. Mi sento sempre ispirato da quelle persone che hanno una storia che li lega ad un determinato luogo o ambiente, contestualizzandoli e dando loro il giusto significato nel corso della loro esistenza. Personalmente, cerco sempre di costruire la mia di storia in un contesto estremamente moderno, senza prevaricare le antiche terre su cui vivo. Credo nel potere della fede e di un credenza più in generale, in base alle quali modelliamo la nostra realtà e pensiero. Questo genere di rituali, aiutano a creare una cornice alla realtà, una struttura che sorregge le nostre convinzioni e credenze. I tatuaggi, il potere della musica e dell’arte, aiutano a costruire queste strutture. La chiave di tutto, però, sono sempre le intenzioni.