Kaos India – L’intervista di VivaMag





Giusto poco tempo fa, Nick Cave, ha affermato che il Rock, così come lo conosciamo oggi, non vale la pena di essere salvato. L’essenza stessa del Rock, è fatta di morti, rinascite e rivoluzioni, ma la scena attuale, sembra aver smarrito quello spirito di protesta tipico del genere. Abbiamo raggiunto di Kaos India, quartetto di Modena, per conoscere la loro visione in merito, avendo da poco pubblicato un nuovo album (Wave), con cui hanno di fatto rifondato il loro stile e gettato le basi per un futuro più che luminoso.

Nelle ultime settimane, ho passato molto tempo ad ascoltare non solo il vostro ultimo lavoro, Wave, ma anche il resto della vostra produzione. Diciamo che mi piace sapere chi ho davanti e capire le ragioni che portano a determinate scelte stilistiche. Posso dire tranquillamente, che rispetto a 4 anni fa, siete una band completamente diversa, come se ad un certo punto del vostro percorso, si fosse arrivati ad una sorta di Ground Zero, un totale reset dei Kaos India. È stato un riavvio ponderato o vi siete lasciati travolgere da una nuova ed inaspettata onda creativa?

È vero, siamo cambiati tantissimo, se si guarda solo la produzione discografica sembra una virata netta ed improvvisa, in realtà il mutamento è stato molto più graduale e liquido di quel che si pensi. Le cause di questo processo sono da ricercare nei nostri ascolti musicali, e nella conoscenza di noi stessi. In questi anni abbiamo assistito a tanti concerti e abbiamo parlato tanto tra di noi e siamo arrivati a comprendere cosa ci piace davvero e quale sia la nostra vera essenza come musicisti. Possiamo dire che i primi album siano stati scritti e arrangiati più con la testa che con il cuore, ‘Wave’ invece è totalmente improntato sulle emozioni. Le cose devo essere fatte bene, certo, questo è il mantra Kaos India, ma fatte bene per emozionare, il nostro obiettivo è la massima espressività possibile. Un’onda creativa ci ha colpito e noi abbiamo provato a surfarci sopra.

Quello che colpisce del vostro nuovo album, è la sua compattezza, sia in termini di tracklist che di equilibrio all’interno dei brani. Le canzoni sono più brevi, immediate ed essenziali, senza tralasciare tuttavia una cura quasi maniacale negli arrangiamenti. Qualcuno, potrebbe accusarvi di esservi ‘banalizzati’, ‘ripuliti’ o, peggio ancora, di aver ceduto al mainstream (per quello che vuol dire oggi). Personalmente, ho ascoltato per anni esperimenti sonori al limite dell’ascoltabile, dove la ricerca dell’inconsueto, era più una scusa per mascherare una totale mancanza di idee e talento. Credo che sia ben più difficile e coraggioso, scrivere un disco come Wave, dove la semplicità della forma canzone, non permette di giocare a nascondino. Siete d’accordo con questa riflessione, o sono completamente impazzito?

Siamo d’accordo con la tua riflessione, scrivere una bella canzone è la cosa più difficile e meno consueta che si possa fare. Al termine della fase di pre-produzione dei brani il nostro produttore Pietro Foresti ci ha fatto sedere sul divanetto della sala e ci ha detto “Datemi 3 aggettivi con cui descrivereste la band e il nuovo disco che state scrivendo” da questo confronto sono venute fuori le parole, Emozionale, Sincero e Compatto. Il mix e il mastering di ‘Wave’ hanno tenuto conto di queste caratteristiche ed il risultato ne è la prova concreta. Non pensiamo di esserci banalizzati, anzi al contrario, abbiamo utilizzato un approccio che escludesse il non-sense, tutto ciò che è dentro la canzone deve avere un senso, deve esprimere qualcosa e deve dirlo in maniera immediata senza usare troppi giri di note/parole. Non pensiamo di essere mainstream, il mainstream è un’altra cosa in questo momento e comunque non sarebbe per forza una cosa negativa, saremmo ben contenti di ascoltare musica come la nostra sui network italiani.

Una delle prime reazioni che ho avuto dopo aver ascoltato Wave, è stata quella di imbracciare la mia chitarra. È raro ultimamente, soprattutto, in Italia, trovare band che trasmettano all’ascoltatore la voglia di suonare e rimettere su un gruppo. Al di là dell’ingiustificato atteggiamento divistico di alcuni musicisti italiani, molto spesso, sembra che si divertano più loro a recitare il ruolo delle star, che i loro fan ad ascoltarli. Qual è stata per voi l’ultima band che vi ha trasmesso voglia di divertirvi con la musica

Ci rende davvero felici ed orgogliosi sapere che la nostra musica ti abbia indotto questa reazione. Per quanto riguarda gli atteggiamenti divistici pensiamo che non facciano parte della nostra natura, la spontaneità fa parte di noi come persone e si traduce nella nostra musica. Come ci vedi sul palco così siamo quando scendiamo. Sono tante le band che ci trasmettono voglia di suonare, un esempio è stato il concerto degli Arctic Monkeys all’Open’Er Festival di Gdynia dell’anno scorso, ci ha toccato particolarmente, aggiornando gli arrangiamenti sono riusciti a mantenere attuali anche i brani dei primi album, da questo traspare una grande considerazione nei confronti dei propri fans ma anche una grandissima passione per la musica, avrebbero potuto suonarli alla vecchia maniera, nessuno avrebbe mosso critica e avrebbero comunque portato a casa il loro bel cachet.

Rispetto al passato, questa volta, vi siete affidati ad un produttore esterno per lavorare sull’album. Avete scelto Pietro Foresti, nome che ai più non dirà poi molto, ma ha un curriculum di tutto rispetto e ha lavorato spesso dall’altra parte dell’oceano, dove si produce tanta musica che conta. A volte un produttore può imporre la propria visione, a scapito delle idee della band, com’è stato lavorare in studio con una figura come la sua?

Il lavoro con Pietro è stato edificante, abbiamo imparato tanto e ci siamo divertiti durante il percorso. Ci ha lasciati liberi su tutti i fronti, in generale ci ha portato a capire da soli cosa potesse funzionare e cosa no, non ha mai imposto niente ma al contrario ha aumentato la nostra energia creativa facendo tirare fuori il meglio ad ognuno di noi. Ci ha insegnato ad interpretare il senso emozionale e funzionale delle nostre creazioni musicali e a plasmare le composizioni in base a questo. Pietro ha seguito tutta la parte di mix e mastering, siamo contentissimi del risultato, suona davvero da paura. È stato lui a creare e a portare a buon fine l’opportunità con Universal.

Abbiamo solo qualche primavera di differenza, ma in Wave, ho trovato tantissimi riferimenti alla ‘mia’ musica. C’è molto dei miei adorati anni ‘90, ma anche tanto dell’indie di inizi anni 2000, di quando si pensava sarebbe arrivata una seconda ‘New Wave’ a salvarci dai vari fattori x. Il rock, oggi, è visto come una specie protetta, sulla via dell’estinzione definitiva. Siamo davvero spacciati, o qualcosa può ancora salvarci?

Pensiamo che il rock non sia morto e la sua potenza comunicativa faccia ancora molta presa sulle persone, soprattutto dal vivo, questo lo vediamo ai concerti. In Italia il rock è fuori dalle classifiche al momento perché ora la musica alla moda è altra, però poi quando ci sono i grandi concerti rock il pubblico italiano è sempre presente e carico. Forse c’è un po’ di sfiducia verso le band non ancora famose e molte persone non hanno la curiosità di andarle a scoprire, ma siamo convinti che una volta conquistati gli ascoltatori il rock funzioni ancora. In oltre, in particolare nel nostro paese, le fasi dei trend musicali sono cicliche, non c’è mai ampio spazio per tutti i generi allo stesso tempo, il “mercato” è ristretto rispetto ad altre aree, a volte quindi si tratta solo di cercare bene e si possono scovare belle sorprese in giro. In tutto ciò vogliamo essere chiari, non ascoltiamo solo rock, anche se è quello che sentiamo scorrere nelle vene ed è ciò che amiamo maggiormente.

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