Les Fleurs Des Maladives – L’Intervista di VivaMag

Ciao ragazzi! 

Ciao a tutti, sono Canitano: bassista-corista nonchè portavoce dei Fleurs in questa intervista (e oggi ho fatto anche la rima).

Questo è il vostro secondo album, rispetto al primo in che modo si è evoluto il vostro suono?

Il nostro primo è stato un disco già di grande impatto Rock per quello che le nostre orecchie italiche sono abituate ad ascoltare. Per il secondo però abbiamo affinato ulteriori tecniche speciali per rendere il nostro sound ancora più distorto e dirompente. Per riuscire a riversare tale cattiveria sonora su cd è stato fondamentale la collaborazione con Max Zanotti che in virtù della sua sconfinata esperienza in fatto di Rock’n’Roll ha curato con grande passione tutte le fasi di produzione artistica del nostro nuovo album: dalla sala prove a quella di registrazione.

Da dove viene l’idea del titolo dell’album “Il rock è morto”? 

La mia autoradio funzionava benissimo, era una di quelle che legge le chiavette USB, poi un triste giorno qualcuno armato di cacciavite mi scassinò la Punto e me la rubò dal cruscotto. Impossibilitato ad ascoltare altro, quel giorno accesi la radio per la prima volta dopo anni e mi resi subito conto in quale stato vertesse la situazione musicale in Italia. Spensi la radio ed entrai immediatamente in sala prove con gli altri a scrivere le canzoni del nuovo disco.

Cos’è per voi il rock? 

Il Rock è un essere soprannaturale che assomiglia molto ad Hendrix ma con molte caratteristiche in comune con Rocco Siffredi: Egli ci ha creati, forgiati e ci ha dato in mano i nostri strumenti musicali.

Chi è tra voi a scrivere i testi? Da dove è venuta l’ispirazione per quelli di quest’album? 

Davide: il nostro cantante, chitarrista, filosofo, ingegnere, astronomo, chimico, antropologo e pirata. È una persona molto ispirata. Noi lo ringraziamo sempre a suon di decibel e a lui piace così.

Perchè la scelta di cantare in italiano? 

Il dio del Rock è anglofono, però ci ha ordinato di cercare di ridare dignità ad una lingua finora violentata da Pausiny, Giovvanotti e Giggidalessio.

Quali sono le vostre maggiori influenze?

Noi non siamo influenzati, siamo malati di noi stessi. Siamo riusciti ad arrivare ad un gusto uno-e-trino nonostante provenissimo da culture musicali spesso molto diverse tra loro. Il nostro minimo comune multiplo è sicuramente lo spirito punk.

Il nome del vostro gruppo “Les Fleurs des Maladives” da dove nasce? 

Ci serviva qualcosa di marcio e puzzolente, anzi, malsano: dovevamo esprimere con forza tutto il nostro disappunto. Baudelaire  ci contattò e ci propose di utilizzare un passo dell’intro del suo libricino “Les fleurs du mal”.

Come vivete l’esperienza del live? A chi vi ispirate come attitudine sul palco? 

Suonare dal vivo è come fare l’amore: vuoi godere ma vuoi che goda anche il tuo partner. Noi sul palco siamo in tre, dediti a soddisfare noi stessi e ad appagare in pieno il nostro amante più prezioso: il nostro pubblico.

C’è un live che non dimenticherete sicuramente? 

Durante un festival la scorsa estate, quando sul finale di concerto Davide si avvicinò ad Alberto e come una furia se la prese con la sua batteria. Anche la sua chitarra accusò il colpo assaggiando il sapore amaro della forza di gravità. In quel momento io sentii il bisogno di sfogare tutto il male che la Pausiny infligge al mondo sul mio povero basso ed ancora oggi esso porta i segni di quella serata.

Citatemi un album a testa che ritenete fondamentale per la vostra formazione musicale. 

Il mio disco è di sicuro “In Utero” dei Nirvana, quello di Davide è “Storia di un impiegato” di De Andrè ed Alberto soffre di una forma di disturbo dell’attenzione che non gli consente di ascoltare un disco o vedere un film per intero.

Quali sono i vostri progetti per il futuro? 

Noi abbiamo il dovere di finire questo sporco lavoro iniziato quasi dieci anni fa: non ci fermeremo fino a quando Giggidalessio si comprerà una diavoletto, tre o quattro distorsori e imparerà a suonare una nostra cover.

 

 

Sara Ferraro

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