Letlo Vin – Songs for Takeda
Artista: Letlo Vin
Album: Songs for Takeda
Etichetta: Autoprodotto
Anno: 2014
Voto: 8
Quando ho ascoltato per la prima volte le note di Songs for Takeda, l’album di esordio di Letlo Vin, non conoscevo assolutamente nulla né di questo artista, né tantomeno di ciò che stava dietro al suo lavoro. Ho solo immediatamente percepito dalle prime note fino alla fine, un forte malessere, una malinconia, un graffiante dolore ben aggrappato a tutti e dieci i brani presentati.
Tale mia percezione è stata confermata dalla spiegazione di Letlo Vin del suo album: Songs for Takeda è infatti un lavoro che ha impiegato ben quattro anni per giungere alla sua completezza, quegli stessi quattro anni che sono serviti all’autore per elaborare una tragedia personale, che lo aveva distrutto, e che lo ha violentemente travolto: il suicidio di un amico, Takeda appunto.
Ed è è proprio l’esperienza straziante, ed il lento percorso che questo trauma ha costretto Letlo Vin a solcare, che hanno originato i brani di Songs for Takeda. Oltre ad un viaggio attraverso il dolore però, l’album è soprattutto un emozionante traversata del folk americano, nelle sonorità acustiche di artisti come Leonard Cohen, Jonnhy Cash e Bruce Springsteen, che sono stati senza dubbio fonte d’ispirazione per Letlo Vin.
Assistiamo dunque a brani come Rusty World’s Seeds, che apre le malinconiche danze, in cui un semplice giro di accordi arpeggiati molto rusticamente, ed accompagnati da sottile decorazioni un po’ più acute di un qualche ukulele sognante, fanno da coro alle voci: sopra tutte quella del cantante, dolente, leggermente graffiante, assieme ai sempre presenti cori. Un brano che a mio parere può rimandare a certe atmosfere dell’Eddie Vedder più assorto, ma anche ai più recenti Mumford and Sons o Sean Rowe.
Stesse caratteristiche, ma molto più folk, con un ritmo sostenuto e meno arpeggiato, ed un basso che si fa sentire e caratterizza maggiormente la struttura di base, ma la stessa sofferenza quasi urlata, è nel terzo brano, Brix, dove è anche l’elettrica a rinforzare le sensazioni.
Si alleggerisce decisamente l’atmosfera con How Young Were You, il brano più breve, che con un insistente riff con tamburelli molto americani quasi da film western, sembra avere in sé un po’ di Paolo Nutini e Leonard Cohen inspiegabilmente assieme.
Ma è l’acustico, con le voci dei cori che sembrano esser lì per abbracciare il dolore del cantante, e la sola chitarra, leggera, spontanea, a spegnere le luci su questa scena, con i due brani finali “Takeda” e “So far away”, in un cielo che pare rasserenarsi, accettare il dolore, e quasi addormentarsi sereno.
Al termine dell’ascolto, non sapevo ancora molto di Letlo Vin, ma le sue emozioni, quelle le ho conosciute. Ed è così che accade, evidentemente, quando la musica non nasce per essere prodotta, quando le note, le parole, sono assolutamente generate dalla vita vera, dal bisogno di esprimere qualcosa, dalla reale esperienza. E’ stato infatti lo stesso artista a confessare che non c’è stata ricerca sonora, nessuna intenzione di partenza di suonare per essere ascoltato, ma la necessità pura di buttare fuori.
Come debut album dunque niente male, anche se Letlo Vin ha già alle spalle una collezione di date in numerosi live italiani, e non è da sottovalutare che il mastering dell’album è stato affidato a Nick Petersen (Track and Field Recording), lo stesso di “For Emma, Forever Ago” di Bon Iver. Un’ottima base, una partenza con piedi per terra e una buona dose di emozioni, che incoraggiano certamente prossimi lavori.