MORSO – l’intervista di VivaMag




Freschi di un primo album pubblicato su Dischi Bervisti e Cave Canem DIY abbiamo incontrato Davide e Guido, due dei membri del quartetto MORSO: un progetto che spazia dall’hardcore al metal passando per il rock e il punk…

Ciao Davide, vuoi parlarci del progetto MORSO? Quando nasce e perché?

D. I Morso nascono per un nostro bisogno comune di sfogo. Il 18 gennaio scorso abbiamo pubblicato il primo disco, quindi è ancora tutto da scoprire.

Il vostro primo lavoro si chiama “Lo Zen e l’arte del rigetto”. Come spieghi questo titolo?

G. Come già detto altrove, rigettare è necessario per mantenere un proprio equilibrio. Il rigetto è un’arte da imparare, saper dosare e soprattutto trasmettere alle generazioni.


Come mai la decisione di cantare in italiano?

D. Volevamo essere limpidi e il più possibile diretti. Per l’attitudine generale era l’unica scelta, la più onesta oltre ad essere in qualche modo una sfida.

Di cosa parlano i vostri pezzi?

G. Realtà, soprattutto quella schiacciata dalle paure, dalle incrostazioni psicologiche che ci portiamo dietro. C’è anche della gioia, del riscatto, non è solo denuncia. Se possibile poi, in punta di piedi, qualche piccola proposta per migliorare. Ci proviamo più che altro.

Quattro è la formazione perfetta? E perché?

D. Non credo ci sia una formazione perfetta, di solito la migliore è la più funzionale a ciò che la musica richiede.
In ogni caso, spesso vale la regola del “less is more”, sia musicalmente che dal punto di vista pratico.

Cosa ne pensi della scena post-punk italiana? C’è ancora quella cooperazione di cui si andava fieri un tempo?

D. Parlando di quel genere nello specifico, non saprei. Seguo da tempo la “scena underground” italiana, se così la vogliamo chiamare, nella quale convergono un po’ tutte le band che fanno parte di quel substrato non commerciale.
A mio avviso, ci sono molti gruppi validi e musicisti/promoter che si fanno un mazzo così per portare avanti la causa, fra l’altro senza badare molto al lato economico e nonostante il periodo storico non favorevole.
Musicalmente parlando c’è davvero un sacco di talento, spesso indirizzato verso la sperimentazione e la musica strumentale, cosa che ho sempre apprezzato molto. Nel frattempo devo dire che mi sembra si sia persa un po’ la comunicazione verbale, mi mancano un po’ i gruppi che scrivono canzoni più “standard” in questo contesto e che agiscono ad un altro livello emozionale anche con le parole. Sempre guardando in avanti ovviamente.
E’ un discorso molto lungo…
La cooperazione c’è, ma prima bisogna farsi valere.


Live oppure disco? Oppure tutti e due?

D. Se intendi se io preferisca suonare live o registrare un disco, scelgo il live che è più divertente, intenso e reale. Il lavoro in studio rimane comunque molto stimolante anche se, sopra a tutto, metto la fase compositiva. Quella è la parte che preferisco in assoluto.
Da ascoltatore invece, tutti e due in quantità.

Hai qualche rimpianto verso i tuoi precedenti progetti?

D. Non particolarmente, per fortuna.

E quali sono i vostri programmi per l’imminente futuro?

D. Promuovere il disco appena uscito anche attraverso i singoli brani, vedremo con quale forma. Ovviamente suonare il più possibile dal vivo.

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