Peter Kernel – l’intervista di VivaMag

Sabato 15 dicembre le Cantine Coopuf di Varese ospiteranno il concerto dei Peter Kernel; band indipendente della Svizzera italiana amatissima in città (e non solo). Abbiamo avuto il piacere di poter intervistare Aris Bassetti, chitarrista e co-fondatore del gruppo, per conoscere più a fondo la band, i progetti presenti e quelli futuri…

Ciao Aris, vuoi parlarci di come sono nati i Peter Kernel e quando?
Il gruppo è nato verso le fine del 2005 quando ho incontrato Barbara. Io facevo già musica mentre lei faceva dei video molto particolari. Istallazioni con sensori e robe sperimentali. Inizialmente volevo collaborare con lei per fare delle proiezioni durante i concerti poi ho iniziato a insegnarle a suonare il basso per conquistarla e nel giro di poco tempo ci siamo ritrovati con un po’ di brani e la voglia di testarli dal vivo. E da lì abbiamo insistito a suonare in giro più che potevamo perché abbiamo capito che era (ed è) vitale.

Come nasce On The Camper Records e perché?
L’etichetta nasce qualche mese dopo: marzo/aprile 2006. Ci siamo resi conto che era difficile farsi sentire, e nessuno ci rispondeva alle nostre email per suonare fuori dalla nostra regione, quindi ci siamo detti che bisognava mettere insieme un po’ di gruppi interessanti, compattarsi, darsi un tono e ritentare. È andata bene direi.

Quali sono gli artisti che vi hanno maggiormente influenzato nel corso della vostra attività?
Un po’ tutti credo. Anche in senso opposto. Ci influenzano a non voler essere cosi. Ci sono quelli che ci piace ascoltare ma che fanno un genere distante dal nostro, ci sono quelli che ci piacciono per attitudine o per mentalità, ma che magari non ci piacciono musicalmente, ci sono quelli che fanno musica pazzesca ma sono degli arroganti antipatici e così via. Ma quelli che ci influenzano di più sono gli artisti della vita, come i nostri genitori o gli amici. Persone che abbiamo incontrato o conosciuto. Persone che si danno da fare, con tante passioni, che cercano un posto nel mondo e che hanno un forte motore dentro. Quelli che non si arrendono, rimangono curiosi e sognano.

Quanto è importante per voi la coesione in una band?
È tutto. Noi abbiamo diversi batteristi e al momento di sceglierli ci siamo assicurati che fossero persone con cui potevano diventare amici. E lo siamo. Anche la nostra fonica belga è come un membro del gruppo. Tutti sanno tutto e ci si aiuta e parla. Calcola anche che passiamo in media 4/5 ore al giorno insieme sul furgone a chiacchierare, ridere, scherzare, ascoltare musica, mangiare, scrivere, registrare e mixare brani nuovi, decidere i prossimi passi ecc… insomma, sarebbe brutto e difficile se non andassimo d’accordo. Per carità, ci sono anche momenti difficili, ma si superano perché siamo una band forte.

Preferite la dimensione live o quella in studio?
Sono due cose diverse, ma le adoriamo tutte e due. Si compensano bene; periodi chiusi sotto terra nello studio da soli a produrre e poi vai in giro in mezzo alla gente a suonare. È qualcosa di molto potente.

Chi di voi si occupa di scrivere i pezzi? Di cosa parlano?
Io arrivo con dei frammenti di idea abbozzati con chitarra o synth o drum machine e poi si comincia a improvvisare un po’ sulle parti finché qualcosa prende forma. Poi c’è una fase dove io vado alla deriva con arrangiamenti esagerati e Barbara mi prende per un orecchio e mi riporta sul pianeta terra. Bisticciamo un po’ e alla fine insieme chiudiamo tutto. Un pezzo è finito quando siamo sicuri che abbiamo provato a fare tutte le varianti che abbiamo in testa e piace a tutti e due.
Per quanto riguarda i testi invece siamo un po’ ermetici. Non facciamo grandi discorsi da cantautore, ma in qualche modo cerchiamo di esorcizzare sentimenti, dinamiche o sensazioni che viviamo. Spesso sono cose un po’ oscure, forse per questo sentiamo la necessità di buttarle fuori.

Cosa ne pensate della scena musicale del Canton Ticino e più in generale di quella Svizzera?
Il nostro cantone è cambiato molto negli ultimi anni. Tanti gruppi nuovi hanno un attitudine forte e si muovono sempre di più in modo serio. Ci sono più gruppi che portano musica di qualità e che sono alla ricerca di una propria identità sonora. E lo stesso discorso vale per la Svizzera intera, ma con un livello ancora più alto. Al momento ci sono moltissimi gruppi svizzeri che fanno paura: Hyperculte, Disco Doom, Puts Marie, Fai Baba, Emilie Zoé e Klaudia Johann Grobe per fare qualche nome.

Volete parlarci di “The Size of the Night”?
È il nostro ultimo e quarto disco. L’abbiamo pubblicato a marzo ed è stato forse il disco più difficile perché racchiude un periodo molto complicato a livello personale.
Non voglio scendere nei dettagli, ma ha il cuore scuro e inquieto questo disco. Avevamo bisogno di farlo e di farlo così. È anche il primo disco che facciamo senza il nostro amato amico e fonico Andrea Cajelli. E dobbiamo ammettere che la sua scomparsa ha influenzato tutto il disco in tutti i sensi, perché lui era parte di noi e della nostra musica.

Quanto conta oggi secondo voi l’immagine in una band?
Stai parlando con dei comunicatori visivi, quindi ti diciamo che è importantissima. La musica e l’immagine di un disco o di un brano o di una band sono inscindibili. Sono legami che vanno curati, pensati e rinfrescati.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?
Al momento stiamo finendo la produzione del nuovo disco di Camilla Sparksss (il progetto solista di Barbara), e siamo gasatissimi perché sta uscendo una bomba. E quando lei uscirà con il disco io mi dedicherò più seriamente alla produzione di gruppi. Stiamo anche iniziando in questo momento a lavorare a una colonna sonora per un film per la tv svizzera. Ad inizio 2019 andremo in tour per la prima volta anche in Slovenia, non vediamo l’ora. Insomma il futuro sarà pieno di musica si spera.

Vincenzo Morreale

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