Qualche poesia di Giorgio Soavi
Il massimo per me
è la tenerezza, ti arriva
che non c’entra per niente,
sei con altri
e la tua distrazione
ti porta quel regalo.
Disertore, cantante di night club, correttore di bozze, scrittore, poeta, biografo, appassionato d’arte e giornalista: Giorgio Soavi (1923-2008) è stato questo e anche di più. In prosa, Soavi preferiva descrivere la realtà – comporre dei ritratti – piuttosto che dettare verità assolute, e lo faceva con parole velate di una garbata ironia, eleganti e leggere. Con lo stesso stile ha descritto la passione, l’amore e l’erotismo, dedicando a queste emozioni la sua produzione in versi.
Ho parlato con Dante / il quale mi ha giurato / che Beatrice non è mai esistita. / Ho sentito, al telefono, Petrarca, / il quale, sotto giuramento, / dice che Laura non si è vista mai. / Ma tu ci sei. / Perché mi togli il sonno, / o ti lamenti per il mal di gola. / E quando, piena di raffreddore, / vorresti delle mele, / dici: abore, portami delle bele. / Quindi esisti, perché si ride: / anzi: si scoppia a ridere / coniugando la emme di amore / che diventa abore: / tu sei il nuovo alfabeto italiano, / tu sei la risata intorno ai tuoi dolori, / alla tua febbre, al tuo gran bale.
Al mio silenzio mi rianimo / credo di stare tranquillo, / ma sul più bello / – è così che si dice – / irrompi nel telefono, racconti i nuovi pezzi / della storia. / Cerco di non scoppiare: / al silenzio preferisco / la tua nuova storia. La mia.