Quei favolosi anni Sessanta – i titoli da riscoprire
Nelle ultime settimane stiamo scoprendo i più recenti contenuti delle maggiori piattaforme di streaming. Le novità sono tante ed è giusto non farsele scappare. La quarantena, però, si rivela utile anche per riscoprire i grandi titoli del passato. Ecco una rassegna dei film più significativi del cinema contemporaneo divisi per decenni. Qual è il primo? I favolosi anni Sessanta, naturalmente!
La Francia inaugura il nuovo decennio con un movimento passato alla storia: si tratta della Nuova Onda, meglio nota come Nouvelle Vague. La nascita del fenomeno generazionale si fa risalire al maggio 1959, quando al Festival di Cannes vengono presentati “I quattrocento colpi” di Francois Truffaut e “Hiroshima, mon amour” di Alain Resnais. Grazie al successo ottenuto, tali pellicole divengono i film-manifesto del nuovo “movimento”. Uno degli elementi caratterizzanti la Nouvelle Vague sono i bassi costi di produzione. I registi preferiscono girare in esterno piuttosto che nei teatri di posa, accompagnati da una troupe ridotta e da macchine da presa “a spalla”. Il bianco e nero fa da sfondo a vicende di vita quotidiana raccontate da attori non di fama. Nelle loro pellicole, gli autori intendono mischiare il realismo con la finzione e non viene rifiutata nemmeno l’improvvisazione.
Jean-Luc Godard é tra i registi piú significativi del movimento. Il suo film più conosciuto, “Fino all’ultimo respiro” (1960), riassume perfettamente tutte le caratteristiche della Nouvelle Vague. Jean-Paul Belmondo e Jean Seberg sono il bandito Michel Poiccard e la studentessa americana Patricia Franchini. Le loro storie si intrecciano tra le strade di Parigi, con una sceneggiatura che si sviluppa direttamente sul set e riprese naturali e basso costo. Francois Truffaut gira nel 1962 “Jules e Jim”, dramma incentrato sul triangolo amoroso tra due amici e una donna oggetto del loro desiderio. Qui la scelta registica ricade su passaggi di lettura filmata, da parte di una voce narrante, del testo originale (l’omonimo romanzo di Henri-Pierre Rochè).
Gli anni Sessanta segnano una rinascita (economica e non solo) anche per l’Italia. Il cinema neorealista scompare e lascia il posto a quello d’autore, caratterizzato da un forte rinnovamento. In particolare, sono tre i registi che lasceranno un segno indelebile nel decennio d’oro italiano. Il 1960 è un anno particolarmente significativo: nelle sale esce “L’avventura” di Michelangelo Antonioni, storia di una relazione amorosa nata da un evento infausto. Il film vince il Premio della Giuria al Festival di Cannes. La Palma d’Oro, quello stesso anno, andrà a “La dolce vita” di Federico Fellini. Marcello Rubini è il protagonista del film, simbolo della dipendenza reciproca tra i media e gli scandali. Luchino Visconti gira un altro film simbolo dell’epoca, “Rocco e i suoi fratelli”. La pellicola si ispira al racconto “I ponti della Ghisolfa” di Giovanni Testori e narra le drammatiche vicende della famiglia Parondi.
Qualche anno piú tardi, si assiste alla nascita del genere Western all’italiana, meglio noto come Spaghetti Western. Il capostipite di questo nuovo filone é Sergio Leone, regista che influenzerà autori del calibro di Quentin Tarantino. In soli tre anni (1964-1966), Leone porta sullo schermo la cosiddetta Trilogia del Dollaro. “Per un pugno di dollari”, “Per qualche dollaro in piú” e “Il buono, il brutto e il cattivo” rinnovano il genere Western, ora piú violento e realistico. In particolare, abbondano i primi piani e i dettagli, nonché elementi moderni quale il flashback. Clint Eastwood ed Ennio Morricone saranno i compagni di viaggio del regista, lasciando in entrambi i casi interpretazioni indimenticabili. Il regista inaugurerà la Trilogia del Tempo nel 1968 con “C’era una volta il West”, dal soggetto ideato dallo stesso Leone insieme a Dario Argento e Bernardo Bertolucci.
Negli stessi anni, anche gli Stati Uniti producono pellicole destinate a rimanere impresse nella memoria, sia per l’originalità dei contenuti proposti sia per precise scelte registiche. Il maestro del brivido Alfred Hitchcock mette la sua firma su uno dei capolavori indiscussi del 1960, “Psyco”. Il film vede l’alternarsi tra il lato passionale di Marion (Janet Leigh) e la furia omicida di Norman (Anthony Perkins). L’osservare e l’essere osservati é uno dei temi centrali sviluppati da Hitchcock, il quale si sofferma su dettagli precisi, come il foro nel muro o lo scarico della doccia in cui scompare il sangue di Marion. Anche la componente sonora di Psycho é essenziale per lo sviluppo della trama. La celeberrima musica composta da Bernard Herrmann genera terrore insieme alla voce della Madre, mai fisicamente presente sullo schermo: la paura dello spettatore é quella di riconoscere come reale la voce immaginata.
Nel 1961 esce nelle sale “Colazione da Tiffany”, diretto da Blake Edwards ed ispirato al romanzo di Truman Capote. La formosità delle donne anni ’50 lascia spazio ad una giovane esile, intelligente e quasi infantile. L’ abito indossato da Audrey Hepburn davanti alle vetrine di Tiffany é passato alla storia per la sua iconicità. L’anno successivo “Lawrence d’Arabia” vince ben sette Premi Oscar. Peter O’Toole é un ufficiale inglese la cui vita nel deserto é un viaggio alla ricerca di se stesso. Qualche anno dopo, nel 1967, Mike Nichols dirige “Il laureato”. Dustin Hoffman e Anne Bancroft sono il neo laureato Benjamin e la seducente Mrs. Robinson. La relazione nata per gioco tra i due si trasformerà in un dramma familiare quando entra in scena Elaine, la figlia della Signora Robinson.
Stanley Kubrick domina gli anni Sessanta con due pellicole di culto. Nel 1963, il regista diverte il pubblico con “Il Dottor Stranamore, ovvero: come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba”. Il film si ispira a “Red Alert”, romanzo di Peter George. Inizialmente pensato come un dramma, Kubrick resta colpito da alcune situazioni al limite dell’assurdo e converte drasticamente i toni. Peter Sellers regala un’interpretazione unica, improvvisando molte battute. Nel 1968 le atmosfere cambiano e Kubrick porta sullo schermo “2001: Odissea nello spazio”, destinato a rivoluzionare il genere fantascientifico. Passato e futuro si uniscono nella celeberrima sequenza iniziale, con l’evoluzione della scimmia in essere umano. Che dire poi della colonna sonora? “Sul bel Danubio blu” e “Così parlò Zarathustra” sono un commento imprescindibile del colossal.
Il decennio si conclude con “Easy Rider” (1969). Peter Fonda, Dennis Hopper e Jack Nicholson sono i protagonisti del road movie diretto dallo stesso Hopper, in cui si respira la voglia di libertà ed evasione dai vincoli della quotidianità. Nello stesso anno, “Un uomo da marciapiede” vince il Premio Oscar come miglior film. Jon Voight e Dustin Hoffman sono legati da un’improbabile amicizia nella frenetica New York degli anni Sessanta. La brutalità degli scenari proposti, in cui prostituzione e violenza sono protagoniste, vengono attenuate dal brano “Every body’s Talkin'” di Harry Nilsson.
Bellissimo articolo ha riportato alla memoria film della nostra gioventù che si erano dimenticati ed ora ricordati con emozione