Teatro –

In un articolo sul teatro scolastico steso da un docente, vi potreste attendere discorsi pedagogici. Si parlerà invece di antichi maestri e scolari, forse più adusi all’osteria che all’ateneo, se diamo credito alle rampogne del loro persecutore: San Bernardo di Chiaravalle, il quale giudicava assai male gli scolari dell’epoca, i clerici vaganti, rei di spender tempo a recitare, a suonare e ballare, oltre che a frequentar taverne. Ancora peggio era il loro maestro, Pietro Abelardo, che il monaco di Chiaravalle chiamava “Golia”, donde forse il termine goliardi. La battaglia contro i clerici vagantes fu vinta e gli studenti si diedero a ricercar di che vivere proprio con quelle arti che si tentava di limitare. Così i goliardi divennero ioculatores, giullari e ribelli del medioevo. Tale condanna non si sarebbe separata dall’attore, visto per secoli come uno scolaro pieno di voglia di giocare, di canzonare, di mangiare, bere ed amare. Se è vero che i pedagogisti invitano a scoprire il gioco teatrale come dimensione educativa, ci si può domandare come sia possibile integrarlo in un luogo così poco aperto al iocus, come la scuola. Ma con qualche fortunata circostanza si può fare. E’ da considerarsi opportuno un dirigente poco zelante (non come Bernardo, insomma). E’ utile che il suo vice sia persona saggia, con la cultura di un gesuita e l’animo di un anarchico. E’ richiesta la presenza di un prof. giullare. E’ necessaria una compagnia di sbandati pronti a perdere giornate di studio. E’ bene che i maestrini siano, in fondo, lieti che l’ordine scolastico sia intaccato. E’ fondamentale che vi siano scolari indisciplinati che abbiano voglia di giocare, di ridere, di canzonare e, soprattutto, di amare. Perché per recitare Shakespeare, Giulietta devi davvero amarla.

E per quanto attiene alla fame e la sete? Be’ non puoi mai mancare la scena del brindisi. E’ regola del teatro: non si può fingere, pertanto nei bicchieri si versi il vino. E bisogna chiedere a tutti qualcosa da mangiare, come faceva il Capitan Fracassa di Troisi, squattrinato nobile di Guascogna che si unisce ad una compagnia di girovaghi: “e ke maronn’, bast’ ‘na pera”.

Andrea Minidio

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